Istat: Consiglio mancato

Roma -

Inoltriamo il messaggio di posta elettronica con cui l’ufficio per le relazioni sindacali dell'Istat comunica alle rappresentanze sindacali che la riunione del Consiglio di Istituto di ieri non ha raggiunto il numero legale.

L’ordine del giorno era molto fitto. Evidentemente c’è stata una presa d’atto dei consiglieri che approvare bilanci, regolamenti e piani strategici per i prossimi anni, con un presidente facente funzione, e quindi in un regime che non può essere assimilato alla pienezza dei poteri, li avrebbe esposti ad un rischio personale troppo alto. Bene così nei fatti.

Peccato che i consiglieri abbiano scelto la strada dell’assenza tattica, piuttosto che mettere a verbale la loro contrarietà sui singoli punti; iniziando quindi un percorso di assunzione di responsabilità verso la situazione drammatica in cui versa l’Istituto. Uno stato da altissimo livello di rischio, direttamente connesso alle scelte di governance della precedente presidenza che l’attuale consiglio e il presidente facente funzione hanno approvato in maniera notarile, senza il minimo spirito critico. Una situazione dunque tutt’altro che inattesa e men che meno imprevedibile.

Noi abbiamo cominciato a mettere in guardia i vertici e il personale dell’Istat oramai 3 anni fa, mesi prima del suo varo definitivo. Tra le altre cose scrivevamo:

La letteratura specializzata già da 15 anni ha preso atto del sostanziale fallimento del paradigma: la disaggregazione dei processi ha comportato una drammatica e non reversibile perdita di qualità dei medesimi.

La competizione interna si è tradotta in ulteriore segmentazione dei processi produttivi generando alta conflittualità interna, per scaricare su altri gruppi la responsabilità dell’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi, dismettendo qualsiasi incentivo alla cooperazione e collaborazione lavorativa. L’incentivazione, infine, ha creato un sistema premiale che ha cristallizzato i rapporti di forza interni fra i vari gruppi lavorativi, a sua volta aggravando la qualità della produzione e dei processi lavorativi; ha innescato la corsa all’obiettivo per l’obiettivo, disconnesso dai processi reali. I casi di “successo” sono confinati ai casi di esternalizzazione e di riduzione degli organici.” (qui il comunicato USB per intero)

E ora qui siamo: a dovere recuperare il grave fallimento del lancio del censimento permanente, provando contemporaneamente a mettere in guardia che il massiccio ricorso all’affitto di manodopera cui si sta facendo ricorso per l’attività ordinaria non è la soluzione ma un altro tassello rilevante dei problemi. E senza un investimento minimamente decente sulle carriere e, in parallelo, su nuove risorse di personale in pianta stabile.

Senza un’analisi responsabile su cosa abbia prodotto lo sfacelo attuale e senza riconoscere la necessità di un progetto di radicale inversione di rotta, per la messa in sicurezza delle attività che l’Istituto svolge. E non sarà certo di per sé “l’idea interessante di coinvolgere un apposito questionario gli attori del censimento in un’indagine per capire cosa non va e come migliorare”, che leggiamo dal resoconto di un incontro fra i vertici e alcune rappresentanze sindacali, a potere modificare gli assetti attuali. Per il semplice motivo che la trovata da “customer satisfaction” rimane fine a se stessa, se non c’è uno schema organizzativo ricettivo, disegnato per gestire cooperativamente le interazioni fra le diverse fasi del processo. E non ci si dica che è una critica pregiudiziale: quelle segnalazioni, anche se non strutturate in un questionario, arrivano da diversi mesi da tutti i punti dell’Istat coinvolti nelle attività del censimento permanente: nessuno dei responsabili le ha volute prendere in considerazione.

 

USB Pubblico Impiego Istat