Chissà cosa pensa Draghi della Ricerca pubblica
È sicuramente presto per dare un giudizio di merito sul programma del Governo Draghi rispetto alla Ricerca. Di certo non ci aiuta il discorso pronunciato in Parlamento, dove il premier è rimasto molto in superficie, senza entrare troppo nel merito.
Diciamo subito che, come settore Ricerca, facciamo nostra la valutazione espressa dalla Confederazione USB rispetto a un Governo che appare chiaramente come rappresentante dei poteri forti, delle lobby economico-finanziarie, di quella Europa che non appartiene ai popoli, ma che è subita dagli stessi. E questo non può non preoccuparci anche rispetto al settore della Ricerca pubblica per il quale, a fronte di quanto emerso in questo anno di pandemia, ci saremmo aspettati qualche parola in più, così come per la Scuola e la Sanità. Ripartire da quello che la pandemia ha dimostrato rispetto allo stato dei servizi pubblici, soprattutto di quelli fondamentali, dopo anni e anni di tagli è doveroso per qualsiasi governo. Forse lo dovrebbe essere ancora di più per un governo presieduto da chi a quelle scelte politiche ed economiche ha pesantemente contribuito, seppure ricoprendo ruoli diversi. Da non dimenticare, infatti, la famigerata lettera di Draghi e Trichet del 2011.
Visto che Draghi non dice nulla e nessuno osa rompere il clima tipico da unità nazionale che pervade il mainstream, come lavoratori della Ricerca sentiamo il dovere di dire noi quello che serve al nostro settore.
C’è molto da fare per rilanciare una ricerca pubblica da troppo tempo costretta a fare le nozze con i fichi secchi.
Innanzitutto, serve una vera e propria riforma di sistema che il D.lgs. 218/16 ha solo accennato, anche dando realizzazione pratica ai principi che quella norma ha affermato. Da qui la necessità di un intervento drastico sulla Governance, che realizzi finalmente una cabina di regia unitaria per gli enti e consenta una sistematizzazione del nostro settore Ricerca ad oggi costituito da una serie di “repubbliche autonome” come EPR, Atenei ed enti del SSN. Dentro a questo quadro emerge con chiarezza la necessità di un nuovo comparto autonomo di contrattazione, che comprenda almeno Università e Ricerca o, per dirla diversamente, che liberi questi settori dalla coabitazione forzata e inconciliabile con un settore ingombrante come la Scuola.
L’altra questione da affrontare con urgenza, un secondo dopo che il sistema sia stato riorganizzato, è quella relativa ai finanziamenti. Lo Stato deve fare una scelta strategica e decidere di affidare le questioni cruciali per lo sviluppo e il benessere del Paese a un sistema di Ricerca proprio, e su di esso, conseguentemente, investire. La questione del vaccino contro il Sars Cov-2 è emblematica. Affidarsi alla ricerca privata, peraltro abbondantemente finanziata dalla fiscalità generale e al mercato, ha prodotto la situazione attuale, fatta di quattro o cinque vaccini diversi, scarsità di dosi e costi enormi per le casse dello Stato. È ora quindi di ripensare la proprietà intellettuale della Ricerca pubblica come via per ridurre le disuguaglianze nel Paese e tra Paesi.
Infine, il precariato. È opinione diffusa tra i "baroni" della Ricerca che il precariato faccia parte del normale percorso che si compie per arrivare a fare il mestiere del ricercatore, pertanto qualsiasi stabilizzazione è poi seguita da una ricaduta nel fenomeno. La realtà è che si tratta di un sistema molto vantaggioso per i "baroni" perché consente loro di disporre di personale ricattabile e a basso costo, nonché di gestirne le assunzioni. Il precariato è uno dei mali cronici della Ricerca e va semplicemente debellato. La precarietà non aiuta la ricerca in quanto determina un sistema viziato dall’esigenza di trovare finanziamenti per rinnovare i contratti e viola il diritto a un lavoro stabile e garantito come previsto dalla Costituzione. Una funzione virtuosa avrebbe invece l’utilizzo di strumenti di formazione ad hoc limitati all’immediato periodo post-laurea.
Questi i nodi da affrontare. Qualche dubbio sul fatto che il governo Draghi intervenga in questo senso lo abbiamo. Certo è che la nomina di Brunetta a ministro della PA non è un bel segnale, né per la Ricerca, né più in generale per il settore pubblico. Brunetta è il ministro che definì i ricercatori precari “capitani di ventura” bloccando le stabilizzazioni e che impose la riduzione dei comparti creando le condizioni affinché la Ricerca venisse diluita e depotenziata nella Scuola.
Fanno sorridere i comunicati di chi, come la Flc Cgil, attacca la sua nomina per superare il chiaro imbarazzo rispetto al suo beneplacito al governo Draghi. La stessa Cgil, non più di venti giorni fa, al tavolo dell’Aran ha dichiarato il proprio endorsement alla riforma proprio di Brunetta, affermando che i quattro comparti rappresentano l’assetto ottimale per il Pubblico Impiego e che non serve affatto aumentarli. Una dichiarazione che conferma ufficialmente l’abbandono dei settori Università, Ricerca e Afam.
Comprendiamo la difficoltà di accreditarsi come sindacato dentro la scelta della concertazione, delle compatibilità e della meritocrazia con le carte truccate del sistema delle performance, mantra brunettiano introdotto per la ricerca dallo stesso Ccnl Scuola, ma vi è un limite alla decenza e questa costante presa in giro dei lavoratori non è più tollerabile. Specie se teniamo in considerazione come la Cgil si stia “incastrando” su temi fondamentali quali il diritto allo sciopero e alle mobilitazioni. Perché se Brunetta e Sacconi volevano limitare il diritto allo sciopero e non ci riuscirono, queste limitazioni (obbligo di avviso prima dello sciopero, riduzione dei lavoratori che possono aderire, impossibilità di mobilitarsi durante le trattative) le sta attivamente introducendo nell’attuale “compartone” proprio la Flc-Cgil con Ccnl e accordi “partoriti” per la scuola.
Siamo in una fase estremamente delicata nella quale si gioca lo scontro tra due modelli di sviluppo. Uno, quello attuale, che, dominato dal mercato, ha mostrato con la pandemia tutta la sua fragilità. L’altro, nel quale lo Stato si riappropria dei suoi compiti, in particolare quello di dare al Paese sviluppo e sostenibilità, garantendo al contempo la salute e il benessere dei cittadini. Dove Sanità, Scuola e Ricerca sono capisaldi irrinunciabili dello Stato.
Uno scontro che non prevede compromessi o neutralità. Uno scontro nel quale noi sappiamo esattamente da che parte stare. Uno scontro che spazzerà via le ambiguità e finalmente rivelerà la vera natura di chi continua a giocare su due tavoli, mettendo di volta in volta una giacca diversa.
USB PI Ricerca
23 febbraio 2021