Concorsi e progressioni: un commento de-ontologico alla vision dell'ex presidente Alleva

Roma -

Fra agosto e settembre l’Istat ha pubblicato i bandi per procedure concorsuali da I, II e III livello e per le progressioni economiche. Le une e le altre contribuiscono a definire una volta di più il quadriennio del presidente Alleva e la visione del lavoro in Istituto.

I posti messi a concorso sono delle chiamate dirette, vere e proprie procedure di call, camuffate da concorsi pubblici. Il problema non è certamente nuovo in Istat, ma mentre prima si metteva in atto un fine gioco di adattamento delle griglie dei punteggi per la valutazione in sede di commissione di concorso, ora il confezionamento viene determinato già in fase di stesura del bando.

Da una parte c'è la necessità del gruppo di potere coagulato intorno alla figura di Alleva di premiare i fedeli della prima ora e i fidelizzati recuperati dopo. Dall’altra si manda un segnale a chi non si è mostrato sufficientemente allineato: anche se il presidente non è stato riconfermato, ed è la prima volta da quando l’Istat è entrato a far parte degli Enti Pubblici di Ricerca, la riorganizzazione imposta non deve essere messa in discussione

Questa esigenza trasuda per tutti i bandi da ogni punto qualificante: dalla aree che sono state previste e quelle che non ci sono al numero di posti per ciascuna di esse; dai requisiti e le competenze richieste fino alla modalità di valutazione dei titoli. Malgrado il tentativo ipocrita di ammantare il tutto di meritocrazia, la fidelizzazione e l’adesione incondizionata ad un modello di governance sbagliato per l’Istituto sono le cifre distintive della presidenza Alleva e del suo cerchio magico.

Altro tratto caratterizzante è l’esasperata burocratizzazione dei processi e delle attività. L’ultimo esempio eclatante è il manuale di 24 pagine predisposto per le domande di partecipazione al bando per le progressioni economiche. Viene dichiarato che il manuale dovrebbe guidare il partecipante alle selezioni interne a specificare l’attività svolta per permetterne una valutazione adeguata da parte del dirigente preposto: una vera assurdità! Cui si aggiunge l’inefficienza generale dei sistemi di monitoraggio interni e quella specifica del sistema on line per presentare le domande.

Va anche sottolineato che i futuri vincitori del bando per l’art. 53 dovrebbero vedersi riconosciuta la posizione economica superiore al 1 gennaio 2018.  E già così, se tutto andasse bene, risulterebbero persi 3 anni: la prima data utile, dopo la fine del blocco pluriennale delle carriere e degli incrementi retributivi, era il 1 gennaio 2015. La vertenza sindacale sul tema non è riuscita ad incidere efficacemente su questo arbitrio, contrapposta alla volontà pervicace dell’amministrazione dell’Istat guidata dall’ex presidente. Che ha scelto di investire il meno possibile e il più tardi possibile sulle carriere del personale non dirigenziale. Di modo da accumulare un tesoretto da destinare alla sede unica e aumentare significativamente il lavoro da dare fuori.

E non si può neanche stare certi che la tribolazione sia finita: per l’art. 53 si fa riferimento all'accordo sindacale sottoscritto il 1 giugno 2017, nel quale si precisa che “ai fini del perfezionamento delle procedure selettive e la loro decorrenza, sarà necessario attendere l'esito positivo dei controlli sull'ipotesi di accordo sulla ripartizione del fondo 2018 e la sostenibilità finanziaria di dette progressioni”. A parte il riferimento sbagliato, visto che l’accordo sindacale di riferimento è del 7 marzo 2018, si evince che non basta che la procedura si chiuda entro il 2018 perché la sua decorrenza sia il 1 gennaio 2018, ma bisognerà aspettare la certificazione del fondo 2018, che ancora non è neanche stato costituito, e la sua ipotesi di distribuzione. Visti i precedenti, con circa un anno solo per la costituzione, c’è da temere il peggio.

E, di questo passo, al peggio non ci sarà fine.

USB Pubblico Impiego Istat