Istat: c'è bisogno di un piano di rientro vero e condiviso

Roma -

L'Amministrazione Istat, dopo aver sottoscritto un verbale di confronto con le OO.SS. il 28 luglio, con delibera del 31 luglio ha deciso inopinatamente di riaprire dal 1° settembre in successione le sedi romane (tranne Viale Liegi), prevedendo il rientro al lavoro in presenza per il 50% del personale. Poi, un mese di silenzio, seguito dal frenetico caos che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti.

Il verbale firmato da sindacati e amministrazione a fine luglio non contempla il rientro su base volontaria: un grave errore dal nostro punto di vista. Tuttavia in esso è contenuto un richiamo forte a oggettive esigenze ostative che il lavoratore può addurre per rifiutare inizialmente il lavoro in presenza:

·         assistenza di figli di età inferiore ai 14 anni;

·         obblighi documentabili di cura e assistenza familiare;

·         lunghi tempi di percorrenza con i mezzi pubblici, con la forte limitazione ai colleghi il cui domicilio comunicato all’Istituto è collocato fuori dalla provincia sede di lavoro.

La delibera del 31 luglio ha indebolito il richiamo alle condizioni ostative, lasciando la possibilità di tenerne conto alla discrezione del dirigente; il quale non avrà neanche bisogno di motivare la propria decisione, con esiti smaccatamente incerti e diversificati che si stanno già verificando. E’ imprescindibile per USB il ripristino almeno di quanto concordato in sede di confronto sindacale.

In maniera simile, un ordine di servizio della DCRU informa che viene prevista la possibilità di completare la prestazione giornaliera parzialmente fornita in presenza in regime di smart working, se e solo se autorizzati dal dirigente: una richiesta tanto impraticabile quanto insensata e vessatoria.

Dopo una serie di solleciti della RSU di Roma, l’Amministrazione ha fissato per il pomeriggio del 31 agosto (!!) un incontro con i sindacati e la stessa RSU con oggetto: informativa sulla riapertura delle sedi. Lo stesso oggetto dell'incontro indica chiaramente che l'amministrazione
impone e dispone quello che vuole: ancora una volta prevale su tutto la necessità di soddisfare i capricci di qualche direttore o capo-dipartimento, senza un reale ragionamento sulle inefficienze e iniquità dovute al loro impatto sul lavoro e su chi lavora, in particolare per i rischi per la salute dei lavoratori. E’ chiaro che -salvo le attività da svolgere necessariamente in presenza, che chissà come mai ancora non sono state individuate- obbligare i dipendenti a stare da soli in stanza, cooperando in remoto coi colleghi, considerato che molti si recano in sede tramite i mezzi pubblici, configura un costo potenzialmente altissimo senza apportare alcun beneficio, a meno di non stabilire che in questi mesi la produzione Istat sia andata avanti da sé e che i lavoratori in smart working siano nullafacenti. La situazione è analoga a quanto già avvenuto a fine maggio, quando i soliti paladini dell’efficienza tentarono di forzare la mano e ‘tornare alla normalità’ da giugno. Irragionevole allora come ora.

Tuttavia, il combinato disposto delle norme e circolari approvate in regime di emergenza consentirebbe ancora all’Amministrazione Istat di tornare sui propri passi:

·         consentendo una riapertura graduale limitata ai lavoratori con semaforo verde che siano volontariamente disponibili;

·     cominciando a lavorare a un piano di gestione del rientro generalizzato e condiviso che ponga le basi di una nuova organizzazione funzionale: occorre mettere a regime la parte positiva dell’esperienza dello smart working in regime emergenziale ed analizzarne le criticità, per risolverle.

Bisogna dare la parola ai lavoratori dell’Istituto e confrontarsi con le esigenze che pongono: questo è l’unico modo per procedere realmente alla valorizzazione del lavoro in Istat.

USB Pubblico Impiego Istat