NESSUNA COLLABORAZIONE CON IL REGIME MILITARE EGIZIANO
L’Istat ha aperto una collaborazione con il Governo militare egiziano. Si tratta di un’assistenza nel settore statistico relativa al Censimento della Popolazione. La convenzione è stata sottoscritta il 24 dicembre 2015 dal Direttore Generale della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e dal Direttore Generale dell’Istat.
L’iniziativa in sé non meriterebbe critiche aprioristiche, se non fosse che il Governo egiziano è indiscutibilmente e vergognosamente il medesimo individuato quale responsabile diretto delle torture e del conseguente assassinio di Giulio Regeni. La cooperazione statistica non è un aiuto umanitario verso una popolazione, quindi da prestare anche in caso di dittatura, ma uno strumento dei governi e quindi non può prescindere dalla loro natura. La scelta di assistere il Governo egiziano da parte dell’Istat, quindi, ci appare incomprensibile, prima che sconveniente. Tanto più perché, a distanza di quasi due mesi dall’uccisione del giovane ricercatore italiano, le autorità giudiziarie egiziane, anche e soprattutto in virtù della loro complicità con il regime dittatoriale militare, non sono intenzionate a garantire una reale collaborazione sull’accaduto.
A ben vedere c’è di più in gioco sul tema di cooperazione allo sviluppo. Politiche queste ultime gestite e coordinate dal MAECI, alle quali la gestione Alleva ha arruolato l’Istat anche grazie al quadro riformato dalla recente legge 125/2014. Un impianto normativo fortemente basato sul valore economico della cooperazione, tanto che il viceministro competente vaticinava che con questa legge ci sarebbe stato un ritorno di 2,7 euro per ogni euro speso in cooperazione dopo 5 anni. Dunque un volano per mettere a profitto la cooperazione internazionale, spesso suggellata anche da accordi commerciali tra le multinazionali dei paesi “donatori” con governi e imprese dei paesi destinatari volti a garantire accesso privilegiato a materie prime strategiche, libero ingresso nei mercati interni con l'eliminazione dei regolamenti sociali, per sfruttare il vantaggio di manodopera a basso prezzo. Tutto ciò dietro il paravento di "tutelare e affermare i diritti umani, la dignità dell'individuo, l'uguaglianza di genere, le pari opportunità e i principi di democrazia e dello Stato di diritto".
Il progetto pilota è stato quello in Myanmar. Nel 2014 venne attivata una Convenzione per l’esecuzione di un progetto di assistenza nel settore statistico in questo paese, poi prorogata nell’agosto 2015. L’art. 5, su “attività ed obblighi dell'ente esecutore”, al comma 5 riporta tra gli obblighi in capo all’Istat:
«assicurare che il personale operante in Myanmar, in esecuzione all'incarico in oggetto della presente Convenzione, si impegni contrattualmente a rimanere estraneo a questioni politiche, etniche, religiose aventi carattere interno al suddetto territorio e ad astenersi da qualsiasi manifestazione suscettibile di nuocere alle buone relazioni tra l'Italia e l'area in questione».
La dittatura militare birmana è, tra le altre nefandezze, responsabile della deportazione e persecuzione della minoranza etnica e religiosa dei Rohingya. Nel 2014 le agenzie ONU presenti sul campo hanno denunciato che le comunità di Rohingya sono state deliberatamente escluse dalle operazioni censuarie che si stavano svolgendo. Alcuni funzionari ONU, che hanno apertamente parlato di genocidio dei Rohingya, hanno messo in relazione il mancato censimento di alcune minoranze etniche e religiose con lo scopo di occultare la portata reale delle violenze esercitate.
E’ evidente l’incompatibilità assoluta fra le prescrizioni della clausola e il lavoro di un dipendente dell’Istituto Nazionale di Statistica.
Tale progetto pilota è stato però evidentemente ritenuto molto soddisfacente tanto dal MAECI quanto dall’amministrazione Istat. Infatti, si legge nel Piano per la Cooperazione 2015:
«la DGCS del MAECI ha comunicato all’Istat di aumentare in numero di progetti “statistici”, replicando in altri paesi il modello di cooperazione ripreso nel 2014 con la convenzione per il Myanmar».
Segue la lista dei paesi prioritari per il MAECI, tra cui l’Egitto per il quale si ripete che «in vista del censimento della popolazione egiziana del 2016, la convenzione sarà redatta sulla falsariga di quella stipulata con il MAECI sul Myanmar».
L’Egitto del Governo militare di Abd al-Fattah al-Sisi, dunque, la cui posizione di chiusura rispetto al disvelamento della dinamica che ha condotto al sequestro, alla tortura per giorni e all’omicidio di Giulio Regeni, ha spinto il Parlamento Europeo ad approvare una risoluzione trasversale comprendente tutti i gruppi - ad eccezione dello EFN di Le Pen e della Lega di Salvini - che «condanna con forza la tortura e l'assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni» in Egitto, sostanziando de facto la preoccupazione verso una pratica che si ritiene essere consuetudinaria presso le strutture carcerarie egiziane.
Giulio Regeni si trovava in Egitto per documentare i tentativi di organizzazione indipendente dei lavoratori egiziani, protagonisti in questi anni di lotte durissime: la rivoluzione di piazza Tahrir del 2011 deve moltissimo a queste lotte, dalla rivolta degli operai tessili della più grande fabbrica di stato di al-Mahalla nel 2008, fino alle decine di blocchi e scioperi che hanno accompagnato gli eventi del gennaio-febbraio 2011. Il “nostro” amico nella lotta al terrorismo e nella realizzazione di importanti investimenti infrastrutturali (come il contratto che assegna all’ENI la realizzazione degli impianti di estrazione del giacimento di Zohr, il più grande bacino di gas naturale del Mediterraneo), ha così le mani libere per colpire ogni forma di opposizione sociale e sindacale, una minaccia contro la sacra alleanza tra establishment militare e grande capitale. Mani libere anche per colpire chi volesse condurre la propria ricerca in modo non “embedded”, unica modalità ammessa dal MAECI e sottoscritta dai vertici Istat.
La fine di Giulio Regeni non è un caso isolato. E’ indispensabile ricordare che nelle galere di Al Sisi, come in quelle del suo degno predecessore Mubarak, sono finite centinaia e centinaia di persone, responsabili di non aderire ai dettami del despota di turno. Nel 2015, secondo il centro per la riabilitazione delle vittime della violenza El-Nadeem, i casi documentati di sparizione forzata per mano dello Stato sono stati 464. Almeno 500 persone sono morte in stato di detenzione e almeno altre 676 torturate.
L’indignazione per Giulio Regeni, dunque, è per noi la stessa che accompagna tutte le vittime scomparse nel buco nero della storia contemporanea egiziana.
Amnesty International ha lanciato la campagna "Verità per Giulio Regeni", la quale ha visto l’adesione da parte di enti locali, dei principali comuni italiani, delle università e di altri luoghi di cultura del nostro paese a sostenere la richiesta di verità sulla morte di Giulio. Per il presidente Amnesty International Italia l’Egitto, in quanto Stato parte della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite (che ha ratificato nel 1986), ha l’obbligo di accertare le responsabilità e la punizione dei colpevoli degli atti di tortura. Impegno che lo Stato nordafricano ha nei confronti di tutti gli stati che quella convenzione hanno ratificato, Italia compresa. L’adesione all’appello di scuole, Università, biblioteche dovrebbe far pensare gli amministratori dell’Istat. Lo sviluppo dei rapporti con l’Egitto, infatti, non può prescindere dai progressi fatti in materia di diritti umani, sociali e civili. Se è vero che l’intervento di collaborazione con l’Egitto è stato effettuato su specifica richiesta del Ministero degli Esteri, in una delle Nazioni definita prioritaria per la Cooperazione italiana, è altrettanto indiscutibile che è una precisa scelta dell'Istituto quella di collaborare con il Ministero nelle sue operazioni di cooperazione allo sviluppo.
Vogliamo #veritàegiustiziaperGiulioRegeni
Stop alle cooperazioni dell’Istat con i Paesi dove vengono calpestati i diritti umani e i diritti dei lavoratori.
Stop alle cooperazioni dell’Istat con i Paesi che praticano la tortura.
Il collettivo di USB-PI Istat